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Responsabilità civile e disciplinare del magistrato che non applica il diritto dell’ Unione

La Corte di Giustizia, nella sentenza della causa C-379/10 – Commissione/Italia, conferma quanto già aveva avuto modo di affermare nella storica sentenza 13 giugno 2006, causa C-173/03 – Traghetti del Mediterraneo, ossia che:

“l’esclusione e/o la limitazione di responsabilità dello Stato, per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto dell’Unione imputabile ad un organo giurisdizionale di ultimo grado, è contraria al diritto dell’Unione stessa”.

Principio, questo, che comporta la disapplicazione delle norme nazionali che dovessero risultare incompatibili con il diritto dell’Unione.

Il riferimento è alla legge italiana sulla responsabilità civile dei magistrati, n. 117 del 13 aprile 1988 (Legge Vassalli) che esclude la responsabilità dello Stato in relazione all’interpretazione del diritto e alla valutazione di fatti e prove.

Ebbene, proprio la necessità di tutela effettiva dei diritti sanciti dal diritto dell’Unione, nell’ottica di una piena protezione giurisdizionale del singolo, richiede che la responsabilità di uno Stato membro possa sorgere in presenza di violazione di norme del diritto dell’Unione conseguente ad una errata interpretazione delle stesse operata dal giudice designato.

La Corte di Giustizia, già nella sentenza del 2006, aveva avuto modo di chiarire che per aversi una violazione manifesta del diritto dell’Unione occorre che:

– La norma violata sia chiara e precisa;
– L’errore di diritto commesso abbia carattere inescusabile;
– Vi sia una mancata e consapevole inosservanza del rinvio operato dall’art. 234 del Trattato C.E. in tema di competenza pregiudiziale della Corte;
– Vi sia ignoranza manifesta della giurisprudenza della Corte in materia.

Successivamente, tornando sull’argomento, nel 2010 la Corte precisa che il risarcimento del danno, conseguente alla violazione del diritto comunitario, è dovuto in presenza di tre requisiti fondamentali; i quali non sono alternativi tra loro ma devono coesistere nella determinazione della responsabilità dello Stato:

La norma violata deve essere preordinata a conferire diritti ai singoli;
La violazione deve essere sufficientemente caratterizzata;
Deve sussistere nesso di causalità tra la violazione imputabile allo Stato e il danno subito dal singolo.

Prosegue la Corte statuendo che lo Stato può intervenire sui tre requisiti sopraesposti specificandoli ed integrandoli ma non può, in nessun caso, imporre requisiti più rigorosi. Cosa che invece accade con la legge 117/1988 laddove viene esclusa qualsiasi responsabilità da parte dello Stato per violazioni del diritto dell’Unione poste in essere da un organo giudicante attraverso l’interpretazione di norme di diritto, o laddove, in ogni caso, tale responsabilità viene arbitrariamente limitata alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.

Anche il decreto legislativo n. 109 del 23 febbraio 2006, che attua la delega contenuta nella riforma dell’ordinamento giudiziario, all’art. 2, nel disciplinare le fattispecie tipiche di illecito disciplinare dei magistrati, pare dimenticare e/o tralasciare qualsiasi riferimento alla mancata applicazione del diritto dell’Unione, e alla conseguente responsabilità ravvisabile in capo all’organo decidente. Responsabilità disciplinare che, in ogni caso, viene pacificamente riconosciuta dalla legge Vassalli che, all’art. 9, non solo impone l’esercizio obbligatorio dell’azione disciplinare in tutte le ipotesi in cui sia configurabile una responsabilità civile del magistrato, ma, prevede che tale responsabilità disciplinare possa sussistere altresì in presenza di gradi di colpa più lievi rispetti a quelli richiesti dalla stessa L. 117/1988.

Alla luce di quanto sopra, appare dunque inevitabile constatare come, grazie alla giurisprudenza della Corte di Giustizia, si sia venuto a creare un quarto grado di giudizio, che va oltre la Corte di Cassazione e che si conclude a livello transnazionale, in tutti quei casi in cui sia ravvisabile la mancata applicazione di norme comunitarie che riconoscono diritti ai singoli da parte dello Stato Membro. Ed è in forza di questa affermazione di principio che l’Avvocato, nell’adempimento del proprio dovere di difesa, deve assumere consapevolezza del suo ruolo anche a livello comunitario, senza fermarsi od adagiarsi alla legislazione ed al giudizio nazionale.

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Avvocato Stefania Beccati: